A teatro, “Assange” mostra i limiti del diritto all’informazione.

Chi s’interessa di “Cultura e Giustizia” merita di approfondire la storia di Julian Assange, giornalista e fondatore dei WikiLeaks oggi detenuto nel carcere inglese di massima sicurezza di Belmarsh. Il caso “Assange” consente infatti di osservare le profonde connessioni fra il mondo dell’informazione e quello della giustizia sociale. E lo fa in modo esemplare, chiedendoci di prendere posizione.

L’idea di portare in teatro “Assange” è di Alessandro Di Battista che, da appassionato studioso della vicenda, ha condotto la sua riflessione sulle implicazioni giuridiche e politiche del caso, scrivendo un monologo che è ora in tournée per l’Italia, con la regia di Samuele Orin e la collaborazione di Luca Sommi e Niccolò Monti.

Lo spettacolo, che abbiamo visto al Teatro Duse di Bologna nella data del 10 gennaio 2024, si presenta come uno speech dai ritmi incalzanti ed offre al contempo due letture: una, documentata, dei fatti e l’altra, personale, frutto dell’interpretazione degli stessi fornita dall’autore.

Di Battista, con la giusta chiarezza espositiva, tende a distinguere sempre gli eventi accertati, dalle sue personali opinioni e, benché dia ampio spazio ed enfasi a queste ultime, riesce a porre ogni ascoltatore in condizione di farsi domande di grande valore umano, stimolando il desiderio di approfondire ciascun per sé la riflessione – non solo sulla vicenda, ma anche sui temi più ampi che essa richiama.

“Assange – Colpirne uno per educarne cento” è un testo che si propone di evidenziare anche i nessi causali fra i fatti e le tensioni di natura politica ed internazionale sottostanti. La serata a teatro diventa, così, una preziosa occasione per uscire da quella condizione di “sonno della coscienza” a cui troppo spesso sembriamo assuefarci.

Una volta spenti i riflettori, si esce dalla sala ma si continua a pensare: è giusto limitare la libertà di stampa con i “segreti di Stato”? E’ corretto porre importanti limiti al diritto all’informazione dei cittadini, su temi di rilevanza mondiale quali, ad esempio, i crimini di guerra? Come cittadino, sono consapevole del potere manipolativo intrinseco nella scelta delle parole che vengono usate da un comunicatore? Come giornalista, sono consapevole della responsabilità morale che mi assumo ogniqualvolta scelgo di aderire o meno ad una precisa impostazione semantica, nel fare cronaca?

Di Battista non parla “solo” delle sorti e della libertà di Julian Assange, ma della forza dirompente del suo messaggio:

Si vive solo una volta e quindi abbiamo il dovere di fare buon uso del tempo a nostra disposizione ed impiegarlo per compiere qualcosa di significativo e soddisfacente. Questo è qualcosa che io considero significativo e soddisfacente. E’ la mia natura: mi piace creare sistemi su larga scala, mi piace aiutare le persone vulnerabili e mi piace fare a pezzi i bastardi” (J.A.)

Quanto a noi, crediamo che valga la pena di impiegare il nostro tempo per chiederci se sia più grave portare ad emersione dossiers da cui si evincono crimini di guerra, o se sia più grave commetterli lasciando nell’ignoranza l’opinione pubblica.

Spettacolo consigliato per un pubblico adulto.

(Foto gentilmente concessa dall’Ufficio Stampa del Teatro Duse di Bologna)

Cyberbullismo e mobbing: le analogie.

Questa sera inizierà, su Rai 2, una trasmissione condotta da Pablo Trincia e dedicata ad un tema caldo che tocca genitori e insegnanti di tutta Italia: il bullismo nelle scuole. La campagna targata #maipiubullismo non è che una delle molte iniziative di sensibilizzazione sull’argomento, che, negli ultimi tempi, è spesso sotto i riflettori della cronaca.

Proprio come accadde per il mobbing, succede oggi che i mass media hanno dato un nome nuovo e moderno ad una dinamica antropologica antica, aprendo così la strada agli studiosi e chiedendo nuove vie di tutela al mondo del diritto.
Quindici anni fa iniziavamo a sentire parlare di mobbing e arrivavano le prime sentenze nei tribunali del lavoro. Oggi parliamo di cyberbullismo e ci chiediamo cosa sia.

Il potere della parola è tale per cui un vocabolo di nuovo conio ci incute una sorta di timore riverenziale, tanto da riuscire a gettare una luce diversa su azioni già note: negli anni Ottanta, molto sbrigativamente le avremmo chiamate “bravate da ragazzi”; oggi, forti della nuova etichetta, siamo pronti a riconoscerle e giustamente condannarle come “azioni di bullismo”.

Le analogie fra il mobbing e il bullismo, però, sono molto più profonde di quanto già emerge da questa prima, sommaria analisi.

Lo scopo emarginativo – Come il mobbing affondava le radici della propria teorizzazione sull’osservazione degli etologi nelle dinamiche sociali fra animali, anche il bullismo (che in nulla diverge, se non negli strumenti di attuazione, dal cyberbullismo dell’era digitale) riproduce uno schema volto all’emarginazione dal gruppo di un soggetto-bersaglio.

I soggetti agenti – Gli aggressori spesso sono parigrado della vittima, con cui convivono forzatamente nel quotidiano, in un ambiente pubblico: compagni di classe, i bulli; colleghi di lavoro, i mobber.

Le vittime – Si tende a pensare che i soggetti che subiscono mobbing o bullismo siano persone percepite come “diverse” dal gruppo degli aggressori. E’ vero, ma solo in parte. Spesso infatti la “diversità” di cui le vittime sono portatrici, non è una minorazione, bensì un’eccellenza: le aule dei Tribunali hanno visto molti decine di mobbizzati fra i lavoratori più brillanti e qualificati, e nessuno o quasi fra i fannulloni. Allo stesso modo, i ragazzi vittima di bullismo sono spesso particolarmente dotati e capaci nell’apprendimento scolastico, oppure fortunati per la loro provenienza agiata o per una certa gradevolezza estetica.

La dinamica psicologica – La “debolezza” delle vittime su cui gli aggressori vanno ad insistere con le loro azioni vessatorie (azioni che sono compiute in rete nel caso del bullismo cibernetico) è, di solito, un aspetto oggettivamente marginale nella personalità del soggetto bersaglio; però, la perversa dinamica psicologica attivata dalle azioni degli aggressori fa sì che proprio su quella debolezza si focalizzi tutta l’attenzione della vittima, minata nella sua autostima dalle azioni del gruppo e, per questo, resa fragile.

Il danno  – I disturbi alla sfera psichica del soggetto che subisce mobbing o bullismo esitano spesso in patologie croniche, con l’aggravante, per il caso delle vittime nell’età dello sviluppo, di una struttura personologica ancora estremamente immatura, che ancora troppo spesso conduce le vittime, nei momenti di maggiore sconforto a gesti di negazione assoluta della vita.

La buona notizia è che, però, nel caso del bullismo gli aggressori sono spesso, a loro volta, realmente poco consapevoli del male di cui si fanno portatori e che non solo la punizione, ma anche la prevenzione può fare molto, per contrastare il dilagante fenomeno.