Vincere insieme: la lezione del win-win e la costruzione della pace sociale

La cultura della mediazione ci insegna che il vero successo non è vincere contro qualcuno, ma vincere insieme a qualcuno.

È la logica del win-win, l’approccio che cerca soluzioni capaci di rispondere ai bisogni reciproci e non solo alle posizioni di partenza.

Essere “problem solver” in questo senso non significa risolvere un problema al posto degli altri, ma guidare le persone a riscoprire la propria responsabilità nel conflitto.

La trasformazione non nasce dall’imposizione, ma dalla consapevolezza.

Questo principio — allora legato al solo mondo delle tecniche A.D.R. — oggi merita di allargare il suo raggio di azione e diventare una vera e propria competenza civica.

È la stessa che, nel linguaggio dell’intelligenza valoriale, ci insegna a orientare le scelte quotidiane secondo le nostre bussole interiori: conoscere i nostri bisogni più profondi e sapere orientarci bene su quelli è il passo indispensabile per arrivare a coltivare relazioni davvero vincenti.

✍️ Nel 2009 scrivevo che uscire tutti vincitori non è un’utopia. Oggi so che è una competenza da allenare: quella di scegliere la collaborazione al posto del conflitto sterile.

Il mantenimento dei figli, su Radio Canale Italia.

La redazione di “Radio Canale Italia”, incuriosita dal mio profilo professionale, mi ha invitato lo scorso giugno a rispondere alle domande che i suoi ascoltatori si pongono sul mantenimento dei figli.

Ho accolto con piacere l’occasione per parlare di uno dei temi principali del diritto di famiglia e della tutela del minore attraverso la radio, che ritengo un ottimo veicolo per fare informazione, senza tradire la complessità dei concetti di fondo.

Come si calcola e da quando decorre l’assegno di mantenimento?

Quali sono gli obblighi normativi da cui discende?

Per quanto tempo deve essere erogato?

Cosa succede in caso di mancato versamento dell’assegno di mantenimento?

Quanto è importante la figura dell’avvocato come facilitatore, in queste situazioni?

Per chi fosse interessato, ecco le risposte che ho dato ai microfoni della trasmissione “Storytime”.

Ringrazio lo speaker, Gianluca Ruoppolo, per avermi chiesto anche di consigliare, dal mio punto di vista, i genitori in difficoltà, permettendomi così di orientare gli ascoltatori alla prevenzione delle liti giudiziali.

Cyberbullismo e mobbing: le analogie.

Questa sera inizierà, su Rai 2, una trasmissione condotta da Pablo Trincia e dedicata ad un tema caldo che tocca genitori e insegnanti di tutta Italia: il bullismo nelle scuole. La campagna targata #maipiubullismo non è che una delle molte iniziative di sensibilizzazione sull’argomento, che, negli ultimi tempi, è spesso sotto i riflettori della cronaca.

Proprio come accadde per il mobbing, succede oggi che i mass media hanno dato un nome nuovo e moderno ad una dinamica antropologica antica, aprendo così la strada agli studiosi e chiedendo nuove vie di tutela al mondo del diritto.
Quindici anni fa iniziavamo a sentire parlare di mobbing e arrivavano le prime sentenze nei tribunali del lavoro. Oggi parliamo di cyberbullismo e ci chiediamo cosa sia.

Il potere della parola è tale per cui un vocabolo di nuovo conio ci incute una sorta di timore riverenziale, tanto da riuscire a gettare una luce diversa su azioni già note: negli anni Ottanta, molto sbrigativamente le avremmo chiamate “bravate da ragazzi”; oggi, forti della nuova etichetta, siamo pronti a riconoscerle e giustamente condannarle come “azioni di bullismo”.

Le analogie fra il mobbing e il bullismo, però, sono molto più profonde di quanto già emerge da questa prima, sommaria analisi.

Lo scopo emarginativo – Come il mobbing affondava le radici della propria teorizzazione sull’osservazione degli etologi nelle dinamiche sociali fra animali, anche il bullismo (che in nulla diverge, se non negli strumenti di attuazione, dal cyberbullismo dell’era digitale) riproduce uno schema volto all’emarginazione dal gruppo di un soggetto-bersaglio.

I soggetti agenti – Gli aggressori spesso sono parigrado della vittima, con cui convivono forzatamente nel quotidiano, in un ambiente pubblico: compagni di classe, i bulli; colleghi di lavoro, i mobber.

Le vittime – Si tende a pensare che i soggetti che subiscono mobbing o bullismo siano persone percepite come “diverse” dal gruppo degli aggressori. E’ vero, ma solo in parte. Spesso infatti la “diversità” di cui le vittime sono portatrici, non è una minorazione, bensì un’eccellenza: le aule dei Tribunali hanno visto molti decine di mobbizzati fra i lavoratori più brillanti e qualificati, e nessuno o quasi fra i fannulloni. Allo stesso modo, i ragazzi vittima di bullismo sono spesso particolarmente dotati e capaci nell’apprendimento scolastico, oppure fortunati per la loro provenienza agiata o per una certa gradevolezza estetica.

La dinamica psicologica – La “debolezza” delle vittime su cui gli aggressori vanno ad insistere con le loro azioni vessatorie (azioni che sono compiute in rete nel caso del bullismo cibernetico) è, di solito, un aspetto oggettivamente marginale nella personalità del soggetto bersaglio; però, la perversa dinamica psicologica attivata dalle azioni degli aggressori fa sì che proprio su quella debolezza si focalizzi tutta l’attenzione della vittima, minata nella sua autostima dalle azioni del gruppo e, per questo, resa fragile.

Il danno  – I disturbi alla sfera psichica del soggetto che subisce mobbing o bullismo esitano spesso in patologie croniche, con l’aggravante, per il caso delle vittime nell’età dello sviluppo, di una struttura personologica ancora estremamente immatura, che ancora troppo spesso conduce le vittime, nei momenti di maggiore sconforto a gesti di negazione assoluta della vita.

La buona notizia è che, però, nel caso del bullismo gli aggressori sono spesso, a loro volta, realmente poco consapevoli del male di cui si fanno portatori e che non solo la punizione, ma anche la prevenzione può fare molto, per contrastare il dilagante fenomeno.

Il labile confine tra amore e dipendenza affettiva

“Non posso vivere senza di te” è una frase che, comunemente, viene interpretata come una dichiarazione d’amore. Eppure sentiamo dire dagli esperti che c’è un’enorme differenza fra una sana relazione amorosa ed una impostata sulla dipendenza affettiva. Chiariamoci le idee. La dipendenza affettiva è davvero dannosa?  Continua a leggere Il labile confine tra amore e dipendenza affettiva